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SANT'ANTONIO, abate ed eremita – 17 gennaio –

SanRocco MinChi era sant'Antonio Abate, o "sant'Antòni dèll purcèll" – sant'Antonio del porcellino –, come diciamo dalle nostre parti?
Vediamo, allora, tutti insieme, di conoscere  meglio questo santo, tanto caro proprio a noi colichesi...

Patronato
Eremiti, Monaci, Canestrai, Animali domestici, Ammalati di herpes zoster – il fuoco di sant'Antonio –.

Etimologia
Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco.

Emblema
Bastone pastorale, Maiale, Campanella, Fuoco.

Martirologio Romano
Memoria di sant’Antonio, abate, che, rimasto orfano, facendo suoi i precetti evangelici distribuì tutti i suoi beni ai poveri e si ritirò nel deserto della Tebaide in Egitto, dove intraprese la vita ascetica; si adoperò pure per fortificare la Chiesa, sostenendo i confessori della fede durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, e appoggiò sant’Atanasio nella lotta contro gli ariani. Tanti furono i suoi discepoli da essere chiamato padre dei monaci.

Una "scottante" leggenda
Si narra che Lucifero, trattenesse "abusivamente" presso di sé alcune anime, bensì, destinate ai "piani superiori".
Venuto a conoscenza della cosa, Antonio, un bel dì, partì per l'inferno deciso a reclamare la restituzione di quelle povere anime sofferenti.
Ad attenderlo, nemmeno dirlo, c'era una folta schiera di demoni furiosi, pronti a respingerlo. Ma Antonio, che tutto era tranne un tipo pavido e remissivo, non si lasciò intimorire. Viceversa, potendo contanre sulla difesa della sua solida ferula – tipicamente, il bastone pastorale – a forma di "Tau", distribuì senza indugio una lunga serie di buoni consigli. In men che non si dica, la diabolica furia fu placata e nessuno più osò ostacolare la sua missione. I buoni consigli furono tanto numerosi e tanto buoni, che, pensate un po', il demonio più feroce – pare fosse il capo in persona – da quel momento in poi, dopo essersi trasformato in docile maialino, seguì docilmente Antonio per tutta la vita al tintinnio di una campanellina appesa al collo.
So
ttratte le anime all'ingiusta condanna, avviandosi verso il ritorno, Antonio attizzò il suo bastone con una fiamma infernale ed una volta giunto all'aperto, donò il fuoco agli uomini accendendo un granissimo falò.
Ecco dunque, secondo la leggenda, l'origine dei suoi attributi iconografici: il bastone, il maialino, la campanella ed il fuoco.

Il Maiale e il "Tau"
Il Papa accordò agli Antoniani il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade; nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.
Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di s. Antonio” e poi “fuoco di s. Antonio”. Per questo motivo, nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla. Sempre per questa ragione, è invocato contro le malattie della pelle in genere.
Nella sua iconografia compare oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la “tau” ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
(cfr. santiebeati.it, Antonio Borrelli)

La devozione popolare
Nel giorno della sua memoria liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici. In alcuni paesi di origine celtica, sant’Antonio assunse le funzioni della divinità della rinascita e della luce, Lug, il garante di nuova vita, a cui erano consacrati cinghiali e maiali. Perciò, in varie opere d’arte, ai suoi piedi c’è un cinghiale.
Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato, è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster.
Ancora oggi il 17 gennaio, specie nei paesi agricoli e nelle cascine, si usano accendere i cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di sant’Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera. Le ceneri, poi raccolte nei bracieri casalinghi di una volta, servivano a riscaldare la casa e, tramite un’apposita campana fatta con listelli di legno, per asciugare i panni umidi.
Veneratissimo lungo i secoli, il suo nome è fra i più diffusi del cattolicesimo. Lo stesso sant’Antonio di Padova, proprio per indicare il suo desiderio di maggior perfezione, scelse di cambiare il nome di Battesimo con il suo. Nell’Italia Meridionale, per distinguerlo da lui, l’eremita della Tebaide è infatti chiamato “Sant’Antuono”.
(cfr. santiebeati.it, Antonio Borrelli)

La storia
Nacque nel Medio Egitto verso la metà del III secolo, da una famiglia facoltosa. A vent’anni, dopo aver ascoltato, nell’assemblea eucaristica, la proclamazione del vangelo di Mt 19, 21: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri… poi vieni e seguimi”, decise di consacrare totalmente la sua vita a Dio. Prima scelse una forma di vita ascetica restando nel suo villaggio. In una seconda tappa si trasferisce in un antico cimitero, per lottare apertamente contro il demonio. A trentacinque anni si ritira nel deserto, in un fortino abbandonato, ove rimane per vent’anni.
Attorno a lui si radunano altri asceti e accorrono malati, sofferenti nel corpo e nello spirito, a cercare conforto. In questa terza tappa si situa il suo ritorno alla città di Alessandria, a motivo della persecuzione dei cristiani; non potendo subire il martirio, Antonio accorre a confortare i cristiani perseguitati. Cessata la persecuzione, ritorna nel deserto per il suo “martirio della coscienza”. Per ispirazione divina si ritira, questa volta, in regione ancora più isolata, sulla montagna. Anche qui accorrono a lui discepoli e persone bisognose di conforto e di luce. È in questo periodo che scende per la seconda volta ad Alessandria, per confutare gli ariani. Morì il 17 gennaio 356, e fin dall’antichità la sua memoria è custodita in tutte le Chiese con grande venerazione, grazie anche alla biografia scritta dal vescovo sant’Atanasio che lo apprezzò moltissimo.
La Vita di Antonio è presentata, prima ancora che come modello di vita monastica, come esempio di vita cristiana, tipo dell’incarnazione della fede e dell’amore di Cristo, vero Dio e vero uomo. Tradotta in latino e ben presto in tutte le principali lingue del mondo abitato e raggiungibile dal messaggio cristiano, divenne principio della diffusione della forma di vita monastica in tutte le Chiese. Nell’ambito della polemica antiariana, il vescovo Atanasio scrive la vita di Antonio pensandolo idealmente come esempio di quella divinizzazione dell’umano resa possibile dall’incarnazione di Dio. Al termine della esistenza terrena, dopo aspre lotte contro i demoni, la sua persona è descritta come interamente trasfigurata dalla grazia, tale da riflettere come in uno specchio la gloria di Dio. Oltre a questa biografia, rimangono di lui sette lettere e trentotto apoftegmi, raccolti nella serie alfabetica.
(cfr. chiesadimilano.it)

Nonno Attanasio